La temperatura media annua varia dagli 11°C di Floresta, a quota 1250 m, fino ai 20°C di Gela (45 m), mentre le precipitazioni totali annue che in media sull’intera regione ammontano a circa 630 mm all’anno, sono comprese tra i 385 mm di Gela (CL) fino ai 1200 mm di Zafferana Etnea (CT).
Si tratta di condizioni in generale favorevoli alla viticoltura, che tuttavia negli ultimi decenni stanno cambiando sotto la pressione del riscaldamento globale. La lunga serie storica dell’Osservatorio Vaiana di Palermo, iniziata nel 1791, mostra nel periodo 1974-2022 un aumento della temperatura media di 2.5 °C, un po’ superiore al trend di 2.2 °C calcolato dal CNR-ISAC a livello nazionale. La vicinanza della Sicilia alla costa settentrionale africana rende più frequenti le incursioni del rovente anticiclone sahariano che l’11 agosto 2021 ha portato a registrare nella stazione del SIAS (Servizio Informativo Agrometeorologico Siciliano) di Floridia, presso Siracusa, la temperatura di 48,8 °C, attualmente il valore record di caldo per l’Italia e l’intera Europa.
2) Registriamo effetti negativi su territori tradizionalmente vocati? e/o inaspettate opportunità per aree che in passato erano poco idonee a ospitare vigneti?
La vite ha una buona resilienza climatica, nel senso che si adatta a un intervallo piuttosto ampio di condizioni termopluviometriche, ma va comunque in stress se le temperature crescono oltremodo e se mancano precipitazioni per periodi prolungati. L’areale della vite è compreso tra temperature medie del periodo vegetativo di 12-22 °C con una risposta ottimale a temperature giornaliere da 20 a 35 °C. Al tempo stesso richiede un raffreddamento invernale almeno pari a 10 °C per terminare la dormienza delle gemme e attivare il ciclo vegetativo. Oltre i 35 °C l’attività vegetativa è compromessa e in alcuni casi estremi la pianta può subire danni permanenti, si possono verificare bruciature sui grappoli e sull’apparato fogliare e conseguente aumento di attacchi fungini.
I tratti principali della crisi climatica in atto sono riassunti nel Sesto rapporto di sintesi dell’IPCC, uscito nel marzo 2023 (IPCC AR6 Synthesis report). Il Mediterraneo è definito un “hotspot” climatico, ovvero un’area del pianeta che subisce un aumento delle temperature più rapido rispetto alla media globale, con conseguente impatto sui sistemi naturali e umani. In linea generale, sia che l’accordo di Parigi venga rispettato, sia che non venga malauguratamente applicato, la temperatura media annua sulla regione mediterranea è destinata ad aumentare (da 2 a 5 °C entro il 2100, a seconda delle opzioni di decarbonizzazione) e con essa le ondate di calore, le siccità, gli incendi forestali, le alluvioni, nonché l’innalzamento del livello del mare (da 40 cm a 1 m a fine secolo), con danni alle infrastrutture costiere. Gli inverni diventeranno più miti, con una riduzione nella frequenza delle ondate di freddo, mentre le estati diventeranno sempre più lunghe e calde, con valori estremi inediti. Il riscaldamento globale potrebbe dunque portare la Sicilia nei prossimi decenni a condizioni via via più simili ai paesi nord africani, dove la viticoltura, pur esistendo (in Marocco, Algeria, Tunisia), presenta produzioni medie nazionali che sono circa l’uno per cento della produzione italiana, a riprova dell’allontanamento di quei climi dalla fascia vocata del Mediterraneo centro settentrionale. Nel lavoro “Near future climate change projections with implications for the agricultural sector of three major Mediterranean islands” di Konstantinos Varotsos (Istituto di ricerche ambientali di Atene) e collaboratori (2020), sono presentati scenari climatici 2031-2060 in Sicilia, Creta e Cipro: emergono netti aumenti di temperatura ma modesti segnali sulle precipitazioni, senza variazioni apprezzabili delle quantità totali ma con possibile incremento dei fenomeni estremi come indica il lavoro “The impact of climate change on extreme precipitation in Sicily” di Angelo Forestieri e collaboratori (Fondazione CIMA, Savona, 2018). Nell’ipotesi di assenza di controllo delle emissioni (scenario peggiore, RCP 8.5) in Sicilia si avrebbero +2.1 °C in estate e +1.6/1.7 °C nelle altre stagioni. Ciò equivarrebbe a trasformare la temperatura media estiva di Catania, attualmente di 24,5 °C come quella rispettiva di Tunisi (26,5 °C).
Il fatto che le precipitazioni medie annue non sembrino subire variazioni significative, fermo restando che già oggi si hanno in Sicilia alle quote medio-basse dai quattro agli otto mesi di aridità dei suoli, non significa che lo stress idrico non aumenti: infatti le temperature più elevate provocherebbero un incremento dell’evapotraspirazione, che nel lavoro “Future trends of reference evapotranspiration in Sicily based on CORDEX data and Machine Learning algorithms” (F. Di Nunno e F. Granata, Università di Cassino, 2023) vengono quantificati verso la fine del secolo e per lo scenario peggiore attorno a +15-17%. All’aumento medio della temperatura farà seguito anche un incremento delle temperature massime estreme, che potrebbero oltrepassare frequentemente i 45 °C con picchi attorno a 50 °C decisamente sfavorevoli alla vite. Cambieranno anche le somme termiche e le escursioni termiche giorno-notte, con influenza sulla formazione di aromi e pigmenti e sul tasso zuccherino e di acidità degli acini. Con questi scenari è chiaro che gli areali vocati della vite potrebbero cambiare: da versanti molto esposti al soleggiamento si passerebbe a versanti più ombrosi e a quote più elevate, onde compensare l’aumento termico e sfruttare maggiormente l’umidità dei suoli. Secondo lo studio “Future Climate Change Impacts on European Viticulture: A Review on Recent Scientific Advances“ a firma di Fotoula Droulia e Ioannis Charalampopoulos dell’Università agricola di Atene (2021), gli impatti del cambiamento climatico sulla viticoltura causeranno anticipi del calendario fenologico della vite, alterazioni della composizione chimica dell’uva e del vino, maggior variabilità dei raccolti, espansione colturale in diversi areali geografici prima inadatti e significativi spostamenti degli areali tradizionali. Lo studio conclude che “se si realizzeranno gli scenari più pessimistici, le regioni del Nord Europa potranno diventare adatte alla coltivazione della vite mentre le regioni meridionali europee saranno troppo calde per consentire la produzione di uva da vino”.
3) Ci sono interventi a breve termine per parare il colpo davanti alle anomalie meteorologiche e ci sono strumenti da impiegare nel medio-lungo periodo?
Sul breve periodo, soprattutto su suoli che non dispongono di sufficiente riserva idrica delle precipitazioni invernali è opportuno pianificare infrastrutture irrigue ad elevata efficienza (invasi, impianti a goccia, monitoraggio locale e satellitare delle esigenze idriche), affrontando anche il tema di un’evoluzione dei disciplinari di produzione laddove l’irrigazione non sia oggi consentita.
L’approccio della selezione genetica è cruciale per recuperare resilienza con la ricerca di cultivar più resistenti alla siccità e ai calori estivi, tenendo conto che ciò richiederà cambiamenti nelle denominazioni tradizionali dei vini. Nelle zone montuose e collinari la scelta di altitudini maggiori ed esposizioni meno assolate può consentire di mantenere le prerogative delle aree geografiche tradizionalmente associate al vigneto.
La rapidità dei cambiamenti climatici in atto tenderà a mettere sotto pressione i territori con le loro filiere agrotecnologiche consolidate da tempo e richiederà flessibilità e lungimiranza nell’affrontare nuove condizioni. La viticoltura, basata su impianti di durata pluridecennale, non potrà reagire con tempestività come il settore delle colture erbacee annuali e necessita quindi di un maggiore sforzo di pianificazione associato anche a un maggiore rischio. Prepararsi per tempo e seguire l’evoluzione molto dinamica del clima è dunque fondamentale per non essere colti di sorpresa.